Pari opportunità e parità di genere nella contrattazione collettiva: la ricerca Uiltucs
Slide della relazione di Samantha Merlo, segretaria nazionale Uiltucs
Slide della relazione di Francesca Marinelli, Professoressa Associata di Diritto del Lavoro – Università degli Studi di Milano
Donne e parità di genere: tutti i materiali
La relazione
POLITICHE DI GENERE
La parità di genere è la piena realizzazione di Diritti e Libertà fondamentali che tardano ad affermarsi. Nonostante l’Unione Europea abbia come obiettivo cardine l’eliminazione delle diseguaglianze all’interno del suo territorio già dal 1957, ad oggi i risultati mostrati dai dati sono ancora molto lontani dal raggiungimento di questo obiettivo: l’indice di uguaglianza di genere in Unione Europea è pari, in media, al 68,6% (5.5 punti percentuali in più rispetto al 2013).
Per stessa ammissione della Commissione Europea, i progressi, benché a rilento, sono avvenuti principalmente grazie alla normativa di sostegno promossa nei Paesi dell’Unione.
Ma nonostante tutto, le disparità continuano essere una realtà, specialmente nel mercato del lavoro, una zavorra ancorata a molteplici fattori culturali.
Ad aggravare un panorama tutt’altro che rassicurante, nel 2020, è sopraggiunta la crisi pandemica, che ha colpito in modo maggioritario le donne.
Il tasso di perdita del lavoro femminile è risultato essere 1,8 volte superiore a quello maschile: le ragioni di questo divario vanno ricercate nella maggiore vulnerabilità del lavoro femminile.
L’alto tasso di impiego delle donne in settori fragili, il lavoro nero e la tendenza generale di identificare le donne come le principali care-giver all’interno dei nuclei familiari, hanno contribuito a far registrare 1 milione di donne disoccupate in più rispetto ai dati pre-Covid.
Mentre si tenta di recuperare, attraverso gli investimenti del Ricovery plan, un pezzo di occupazione femminile persa durante la pandemia, il contesto ci appare ancora più complicato per una serie di altri fattori che alimentano il gap tra uomo e donna.
Il divario di stipendio medio tra uomo e donna nell’Unione Europea è pari al 12,7%. E nonostante le donne in possesso di laurea superino numericamente i laureati uomini, le laureate guadagnano in media il 16% in meno rispetto ai loro colleghi uomini, mentre sul fronte della mobilità sociale riscontriamo che tra gli amministratori delegati delle più grandi imprese europee solo l’8% è donna.
Infine in un panorama già fortemente penalizzante per le donne, dato ancor più grave è quello relativo alla violenza di genere: una donna su tre, all’interno dell’Unione Europea, ha subito violenze fisiche o sessuali.
Ed è proprio in ragione di tutto questo che “La parità di genere” è stata inserita all’interno dell’Agenda 2030 dell’Unione, come uno dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Obiettivo 5) che gli Stati membri si sono impegnati a raggiungere entro il 2030.
Per favorire il raggiungimento di tale obiettivo è stata elaborata una Strategia, basata su una serie di azioni da sviluppare con estrema urgenza:
1) stop alla violenza e agli stereotipi di genere con l’elaborazione di misure volte a prevenire i reati, punire i colpevoli e proteggere le vittime.
2) parità di partecipazione e di opportunità nel mercato del lavoro attraverso l’elaborazione di misure capaci di favorire e garantire la conciliazione di tempi di vita – cura – lavoro;
3) parità retributiva attraverso la realizzazione di misure vincolanti per contrastare la disparità di genere sul piano salariale;
4) equilibrio di genere a livello decisionale e politico.
Inoltre all’interno dell’Europa persistono grandi discontinuità. Sebbene vi siano buoni risultati ottenuti dai paesi scandinavi, anche rispetto alla classifica mondiale elaborata dal Word Economic Forum, sull’indice di parità di genere, non è possibile altrettanto dell’Italia, capace di raggiungere solo il 63esimo posto di tale classifica.
Si perché l’Italia, nonostante i progressi compiuti negli ultimi dieci anni, si attesta nella classifica dell’Unione all’ultimo posto se si guardano la partecipazione femminile e le condizioni di lavoro delle donne all’interno del mercato del lavoro.
Se da un lato nel 2022 abbiamo assistito ad una ripresa del tasso di occupazione femminile, dall’altro l’analisi approfondita del dato dovrebbe farci riflettere.
In Italia il tasso di occupazione delle donne dipende fortemente della presenza o meno di figli: il 72% delle donne senza figli tra i 25 e 54 anni sono occupate, mentre lo stesso dato crolla al 53% in presenza di almeno un figlio piccolo.
Nel nostro Paese la presenza di figli e il numero degli stessi ha un’incidenza negativa sul tasso di occupazione femminile, a differenza di quanto invece accade per gli uomini.
In un quadro fortemente compromesso esiste comunque un trend positivo. Tutte le donne, indipendentemente dalla presenza o meno di figli, hanno un tasso di occupazione maggiore all’aumentare del livello di istruzione.
Per le donne italiane laureate il tasso di occupazione è pari al 93%, per le diplomate 70,9%, mentre non raggiungono la soglia del 50% le donne in possesso della sola la licenza media.
Se da un lato l’istruzione svolge un ruolo fondamentale nei processi di emancipazione femminile, lo stesso dato ci rivela lo stretto legame tra povertà lavorativa e basso tasso d’istruzione.
Oggi in Italia sono generalmente le donne e le madri sole, le persone a maggiore rischio di povertà. Dell’11,7% delle famiglie monogenitoriali in povertà assoluta, l’80,9% è composto da madri sole.
E sono soprattutto le lavoratrici dei nostri settori – le lavoratrici delle mense, le domestiche e le badanti, le donne che trovano lavoro nelle imprese di pulimento all’interno degli alberghi, insomma le lavoratrici che noi rappresentiamo a dare corpo a questo ottanta per cento.
È evidente che la condizione femminile nel mercato del lavoro italiano, così come rappresentata da questa analisi, debba necessariamente rappresentare per tutto il mondo sindacale, per la UILTuCS e per la UIL, (per Tutti Noi), una delle tante sfide aperte nel Paese.
Una sfida alla quale pensiamo di dover rispondere attraverso l’elaborazione di una politica contrattuale che fonda le proprie radici nei principi sanciti dall’articolo 3 e dall’articolo 37 della nostra Costituzione e nelle norme europee.
STOP ALLA VIOLENZA DI GENERE
120 – Centoventi sono state le vittime di femminicidio nel nostro Paese nell’anno 2022. Una vera emergenza sociale che necessità un forte impegno da parte di tutti soggetti istituzionali e delle parti sociali.
La violenza nel mondo del lavoro rappresenta una minaccia per la dignità, la sicurezza, la salute e il benessere di tutti. La violenza ha un impatto non solo su lavoratrici e lavoratori, ma coinvolge anche la famiglia, la comunità, la società nel suo complesso.
Sia le donne che gli uomini possono subire molestie sessuali o altre forme di violenza sul lavoro, tuttavia le donne tendono ad essere più vulnerabili e pertanto sono molto più colpite da questi eventi rispetto agli uomini.
La violenza può manifestarsi in numerosissime forme, per questo è importante saper riconoscere una vittima di violenza e sostenerla in un percorso di protezione ed emancipazione.
Le parti sociali hanno il compito di sostenere questi percorsi attraverso azioni concrete e sostenibili contrattualmente.
Al fine di contrastare la violenza di genere, in ogni sua forma, fuori e dentro i luoghi di lavoro, la proposta della UILTuCS si concretizza nell’istituzione di una figura di rappresentanza, votata dalle lavoratrici e dai lavoratori, garante della parità, che abbia poteri e agibilità per denunciare e contrastare ogni forma di violenza, molestia e discriminazione di genere.
Un’iniziativa che si realizza a partire dalle norme internazionali e che vede nella legge n. 4 del 2021 uno strumento di piena fattibilità.
TRASPARENZA RETRIBUTIVA E SALARIALE
Gli studi sulla parità di genere hanno stimato che i benefici derivanti dalla riduzione del divario retributivo di genere, nei paesi OCSE, si tradurrebbe in un aumento del 23% (almeno) dei guadagni annuali delle donne.
Inoltre la piena parità di genere inciderebbe fortemente sulla crescita del PIL di ogni Paese.
Oltre a questo la riduzione del divario salariale di genere comporterebbe una riduzione del tasso di povertà.
Gli effetti positivi di un minor divario retributivo possono pertanto sintetizzarsi in: guadagni economici e di crescita, effetti di risparmio sui trasferimenti di welfare statale e benefici derivanti dall’assunzione di posizioni dirigenziali da parte delle donne.
Se il settore di appartenenza e l’orario di lavoro sono le due caratteristiche che incidono maggiormente sul divario salariale, esistono comunque altri fattori fortemente impattanti quali istruzione, età, ruolo, occupazione, tipologie contrattuali, controllo pubblico delle imprese, dimensioni dell’impresa e contratti collettivi di lavoro applicati.
Ma come è possibile contrastare il fenomeno del divario salariale? L’Unione Europea ci ha consegnato negli scorsi mesi una direttiva che si muove in questa direzione.
L’Italia a seguito della direttiva ha elaborato una propria strategia, che prevede una serie di misure volte al rafforzamento della trasparenza in tale ambito.
Tuttavia la UILTuCS, consapevole dell’importanza di questo tema, ha elaborato una sua proposta contrattuale che prevede la costituzione di comitati tecnici dedicati e partecipati dalle organizzazioni sindacali, all’interno delle aziende con più di 50 dipendenti, oltre all’ampliamento delle informazioni divulgabili in termini salariali.
Le informazioni sui livelli retributivi, differenziati per genere, devono portare alla luce dati significativi come le retribuzioni di fatto dei lavoratori e delle lavoratrici.
Solo nella massima trasparenza sarà possibile contrastare la discriminazione salariale di genere.
CONCILIAZIONE TEMPI DI VITA E LAVORO
Le politiche a sostegno della genitorialità sono quelle misure che dovrebbero accompagnare la vita dell’individuo, all’interno della società, favorendone la cura, lo sviluppo e prospettive per il futuro, evitando di compromettere l’esistenza e le prospettive dei genitori e dei caregiver.
Il complesso assetto delle politiche familiari, nel nostro ordinamento, così come in quello europeo, si fonda sulla centralità del superiore e primario interesse del figlio (per lo più minore), e sui doveri di assistenza a sua tutela da parte dei genitori.
Doveri ai quali devono necessariamente corrispondere dei diritti. Solo il godimento di tali diritti può consentire il pieno assolvimento dei compiti di cura che costituiscono il fulcro della condizione genitoriale.
E il sostegno della genitorialità non può prescindere da misure capaci di facilitare la conciliazione vita-lavoro.
Se lo scenario delle relazioni sociali, nel nostro Paese, fatica a mettere in atto una vera e propria reciprocità dei ruoli all’interno del contesto familiare, riteniamo che la spinta contrattuale non debba esimersi da tale compito.
L’autonomia collettiva può infatti contribuire a dare una spinta importante e innovativa nella ricerca di soluzioni in tema di conciliazione tra vita e lavoro. Questo non significa limitarsi a normare un istituto giuridico tenendo conto delle esigenze organizzative dell’azienda o del dipendente, piuttosto il compito della contrattazione collettiva deve essere anche quello di individuare possibili interventi capaci di favorire un equilibrio dei tempi di vita e lavoro, al di là di quanto disposto dal legislatore.
Pertanto la disciplina collettiva ha il dovere di allargare il campo dei bisogni: un esempio, tra i molti pensati in quest’ottica, potrebbe essere fornito dai permessi per lo svolgimento dei colloqui con gli insegnanti dei propri figli, considerando che il percorso di crescita dei figli non si conclude con il compimento dei 12 anni e che la partecipazione attiva alla vita dei figli ha un valore sociale indiscutibile.
Infine la cura della disabilità merita una particolare attenzione. Qui il tema della conciliazione assume una veste ancora più complessa dove al paradigma vita e lavoro si aggiunge il tema della cura: conciliazione vita-cura-lavoro.
Il riconoscimento dei caregivers nell’ordinamento europeo e la conseguente trasposizione in quello italiano, pone l’attenzione su come il tema dell’equilibrio vita e lavoro sia ben più articolato e necessiti di ulteriori misure capaci di favorire e facilitare i percorsi lavorativi delle persone prestatrici di assistenza.
La necessità di proteggere i caregivers da trattamenti meno favorevoli causati dalla domanda, dalla fruizione e dall’esercizio dei diritti riconosciuti dalle normative in essere ci pone di fronte ad un tema al quale occorrerà dare risposte contrattuali più incisive.
Questi sono i temi della UILTuCS…Questi sono i temi che devono guidare la nostra stagione contrattuale!
Infine permettetemi di concludere leggendo alcuni passi del discorso pronunciato da una delle donne dell’Assemblea Costituente. Parole pronunciate 76 anni fa, in occasione della redazione dell’articolo 3 della nostra Costituzione; parole che ci appaiano così attuali e che ci consegnano, consegnano alla UILTuCS, un ruolo primario nella ricerca della piena parità.
“Vorrei solo sottolineare in questa Assemblea che qualcosa di nuovo sta accadendo nel nostro Paese. Non a caso, fra le più solenni dichiarazioni che rientrano nei 7 articoli di queste disposizioni generali, accanto alla formula che delinea il volto nuovo, fatto di democrazia, di lavoro, di progresso sociale, della nostra Repubblica, accanto alla solenne affermazione della nostra volontà di pace e di collaborazione internazionale, accanto alla riaffermata dignità della persona umana, trova posto, nell’articolo 3, la non meno solenne e necessaria affermazione della completa eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di condizioni sociali, di opinioni religiose e politiche. (…)
Noi salutiamo quindi con speranza e con fiducia la figura di donna che nasce dalla solenne affermazione costituzionale. Nasce e viene finalmente riconosciuta nella sua nuova dignità, nella conquistata pienezza dei suoi diritti, questa figura di donna italiana finalmente cittadina della nostra Repubblica. (…)
La lotta per la conquista della parità di questi diritti, condotta in questi anni dalle donne italiane, si differenzia nettamente dalle lotte passate, dai movimenti a carattere femminista e a base spiccatamente individualista. Questo in Italia, dal più al meno, tutti lo hanno compreso.
Hanno compreso come la nostra esigenza di entrare nella vita nazionale, di entrare in ogni campo di attività che sia fattivo di bene per il nostro Paese, non è l’esigenza di affermare la nostra personalità contrapponendola alla personalità maschile (…). Noi non vogliamo che le nostre donne si mascolinizzino, noi non vogliamo che le donne italiane aspirino ad un’assurda identità con l’uomo; vogliamo semplicemente che esse abbiano la possibilità di espandere tutte le loro forze, tutte le loro energie, tutta la loro volontà di bene nella ricostruzione democratica del nostro Paese.
Per ciò riteniamo che il concetto informatore della lotta che abbiamo condotta per raggiungere la parità dei diritti, debba stare a base della nostra nuova Costituzione, rafforzarla, darle un orientamento sempre più sicuro. (…) Ma una cosa ancora noi affermiamo qui: il riconoscimento della raggiunta parità esiste per ora negli articoli della nuova Costituzione.
Questo è un buon punto di partenza per le donne italiane, ma non certo un punto di arrivo. Guai se considerassimo questo un punto di arrivo, un approdo. Può questo riconoscimento costituzionale esser preso a conforto e a garanzia dalle donne italiane, le quali devono chiedere e ottenere che via via siano completamente realizzate e pienamente accettate nella vita e nel costume nazionale le loro conquiste. (…) La Costituzione già in questa sua forma molto potrà realizzare, ne siamo sinceramente convinte, se i grandi gruppi politici che rappresentano le masse lavoratrici collaboreranno alla traduzione fedele nelle leggi, nella vita e nel costume nazionale dei principî che nella Costituzione sono affermati.
Se cioè esiste realmente da parte di ognuno di questi gruppi la buona fede e la volontà realizzatrice, potremo con questa Costituzione raggiungere più rapidamente una forma di società migliore, che cancelli definitivamente le tracce, le rovine, i segni di oppressione del fascismo, che ne distrugga nel profondo le cause.
E se vi è questa buona fede, come noi desideriamo vi sia, allora dobbiamo realmente vedere in tutti i rappresentanti delle lavoratrici e dei lavoratori la stessa volontà, nella forma più chiara, più esplicita, più fattiva, di aiutare le donne italiane ad essere cittadine coscienti.
Spetta a tutti noi (…) di partecipare attivamente alla gestione della cosa pubblica per rendere effettiva e piena questa sovranità popolare. Ma, perché questo accada veramente, occorre che accanto ai cittadini sorgano, si formino, lavorino le cittadine; fatte mature e coscienti al pieno adempimento di tutti i loro doveri, da quelli familiari a quelli civici, dal normativo ed educatore godimento dei loro pieni diritti.
Aiutateci tutti a sciogliere veramente e completamente tutti i legami che ancora avvincono le mani delle nostre donne e avrete nuove braccia, liberamente operose per la ricostruzione d’Italia, per la sicura edificazione della Repubblica italiana dei lavoratori.”
Teresa Mattei – 18 marzo 1947