Lavoro su piattaforme digitali: l’indagine dell’Etui

Il 17 febbraio 2022 si è tenuta la conferenza “Working conditions in the platform economy – New evidence from the 2021 Etui Internet and Platform Work Survey” organizzato dall’Etui.
Scopo dell’iniziativa organizzata dal centro di formazione e ricerca della Confederazione Europea dei Sindacati è stato la presentazione dei nuovi risultati dell’indagine svolta a livello europeo dall’Etui sul lavoro tramite piattaforme digitali.
Risultati importanti – come ha detto Nicola Countouris dell’Etui che ha presieduto la prima sessione di lavori – anche per l’approccio metodologico della ricerca, del campione selezionato e dal punto di vista qualitativo e quantitativo.
La pandemia ha spinto la crescita dei lavoratori di piattaforma, mentre a livello legislativo in diversi Paesi qualcosa inizia a muoversi.
Agnieszka Piasna dell’Etui ha invece presentato i numeri della ricerca. Prima della condivisione dei dati, è stato utile fissare il quadro in cui è stata fatta l’indagine ponendo a tal proposito ai partecipanti numerose questioni.
In primis sulle informazioni mancanti sul fenomeno e la discussione in atto sulla sua dimensione (ci sono dati contrastanti sull’economia delle piattaforme in Europa: è troppo piccola perché sia normata? Deve essere regolata da tutti i Paesi?); sulla definizione (non c’è una linea comune sulla definizione delle piattaforme, riguarda solo i big players?); sull’impatto (crea lavoro o ne rimpiazza altri? Promuove l’inclusione nel mercato del lavoro? La paga oraria è adeguata?); sui lavoratori (si tratta di un gruppo specifico o è già presente in alcuni settori?); sul futuro (ci sarà una crescita ulteriore delle piattaforme?).
Poi si è passati al profilo degli intervistati. Nella prima fase dell’indagine, sviluppata tra il 2018 e il 2019, la ricerca è stata condotta solo su 5 Paesi (4.731 persone); nella seconda fase (primavera 2021) è stata fatta su 14 Paesi (24.108 intervistati). Nella seconda gli intervistati sono stati selezionati offline (1.750 per Paese), anche tramite interviste telefoniche e nella fascia d’età tra i 15 e i 65 anni. La terza parte della ricerca sarà presentata sui dati raccolti nel mese di ottobre 2021, con un focus anche sulle organizzazioni sindacali e la contrattazione collettiva.
Infine Piasna ha presentato le categorie che fanno parte di quello che i ricercatori hanno definito “Internet work”: tra i lavori di piattaforma abbiamo in particolare il “remote clickwork”, “remote professional work”, “on-location work”, “transport”, “delivery”, “other freelance services and tasks”. Restano fuori dai lavori di piattaforma ma nella classificazione più generale dell’Internet work: gli influencer (Youtube, Instagram, TikTok, ecc.), chi affitta (Airbnb, per esempio), vende online prodotti fatti in autonomia, vende o rivende online prodotti altrui.
La platea degli “Internet workers” in Europa secondo la ricerca Etui è di 47,5 milioni di persone. Di questi, 12 milioni sono “Platform workers”, 3 milioni sono lavoratori di piattaforme che guadagnano più del 50% del proprio reddito dalle attività svolte tramite piattaforme.
Tuttavia se da un lato il lavoro attraverso piattaforme è solo una piccola parte del lavoro tramite internet, c’è un forte potenziale per la crescita anche perché i mercati di lavoro online sono un territorio ancora da esplorare.
Il Remote Clickwork (chi svolge lavori come l’inserimento dati, traduzioni, compilazione di sondaggi, attività pubblicitarie, ecc.) è l’attività più comune tra i lavoratori di piattaforma. Mentre le attività di trasporto e consegne a domicilio pur essendo più visibili sono attività meno diffuse.
Jan Drahokoupil e Wouter Zwisten di Etui hanno aggiunto ulteriori elementi al profilo dei lavoratori di piattaforme. Secondo i due ricercatori la percentuale maggiore di forza lavoro è quella più giovane ma i più anziani sono pure ben rappresentati. I più giovani lavorano nel delivery, i più anziani nei trasporti e affitto.
Il lavoro online riproduce le dinamiche di segregazione familiare di genere che abbiamo nel mondo del lavoro offline. I migranti sono sovrarappresentati nelle diverse categorie di lavori di piattaforma. Chi lavora sulle piattaforme per la maggiore ha titoli di studio medio-alti.
Drahokoupil e Zwisten hanno notato come ci siano in fondo delle importanti correlazioni tra lavoro online e offline. I lavori online vengono svolti principalmente da quelli che già lavorano offline anche se spesso in maniera precaria. Le ore di lavoro online per settimana, ci tengono a precisare, sono in aggiunta a quelle offline, non le sostituiscono.
Sui guadagni sottolineano come molti lavoratori delle piattaforme in linea generale guadagnano molto poco sulle piattaforme. Ma ci sono differenze importanti in base al tipo di lavoro online.
La mediana che rappresenta il guadagno mensile dei platform workers oscilla tra 50 e 200 euro. In particolare, fanno notare che fino al 50% dei platform workers (in particolare i remote clickworker) ha un guadagno orario sotto la paga minima oraria nazionale.
I relatori concludono i loro interventi dicendo che il lavoro di piattaforma è ancora marginale ma con un forte potenziale di crescita e numeri importanti coinvolti: 3 milioni di persone che guadagnano +50% del proprio reddito annuale, che si possono riparametrare come 6,25 milioni di Full-Time Equivalent.
Infine evidenziano come il platform work non sia un gruppo di lavoratori a sé ma che pone problemi per la regolamentazione anche a causa della competizione sleale che ricade sui datori di lavoro in regola.
La parola è passata poi a Sara Baiocco del Centro comune di ricerca della Commissione Europea che, complimentandosi per la ricerca dell’Etui, ha posto l’accento sull’attualità dell’indagine in relazione alle novità legislative, in particolare alla proposta di direttiva europea.
Anche il concetto di “Internet work” è interessante per la ricercatrice perché consente di esplorare i vari aspetti del lavoro di piattaforma e ridefinire i confini di questo tipo di attività.
Le evidenze dello studio confermate sia in era pre-Covid, sia durante la crisi sanitaria sono importante secondo Baiocco. Positivo infatti parlare di altri lavoratori, oltre ai rider o ai driver perché resta difficile organizzare questi lavoratori, soprattutto gli “home workers”.
L’ultima osservazione si concentra sulla gestione degli algoritmi: è un tema che va oltre il lavoro tramite piattaforme. Iniziamo a pensare – dice Baiocco – a quanti lavoratori in generale sono gestiti dagli algoritmi. Questo sicuramente espande ulteriormente il numero dei lavoratori coinvolti. Può essere utile per rinnovare e allargare la discussione su questi temi.
La critica di Otto Kässi dell’Oxford Internet Institute è invece concentrata sugli aspetti metodologici: numeri della ricerca, difficoltà a intervistare i migranti, sulla categorizzazione dei lavoratori che affittano case come quelli su Airbnb.
Sotiria Theodoropoulou dell’Etui ha introdotto il secondo panel alla presenza di giuslavoristi e sociologi del lavoro. Il primo intervento è stato di Antonio Aloisi della IE University di Madrid.
Secondo Aloisi tre sono gli aspetti rilevanti nel contesto generale di regolamentazione europea: armi di distrazione matematica, promesse e pericoli di presunzioni legali e indirizzare la gestione degli algoritmi.
L’esperto di diritto del lavoro italiano precisa come siano i dati a formare le narrazioni e i miti del lavoro tramite piattaforme: si parla di studenti, di flessibilità, di “paghetta”. Parole e numeri invece possono avere un peso importante sul dibattito generale.
Ci sono problemi di metodologia e di replicabilità, in parte dovuti alla mancanza di trasparenza e informazioni. Con alcune eccezioni, molti studi hanno spesso “iniezioni” di dati direttamente dalle piattaforme.
Passando all’analisi della proposta di direttiva europea, precisa come da un lato la proposta sia stata accolta positivamente ma che dall’altro può portare dei rischi. Una cosa è sicura: ha allargato la definizione del rapporto di lavoro subordinato. Altro elemento importante su cui si sofferma è che la Commissione europea oggi ha una consapevolezza maggiore sul tema.
Infine un passaggio sulla gestione degli algoritmi: accoglie positivamente il fatto che nella proposta di direttiva europea sia presente il monitoraggio degli algoritmi e che le informazioni relative siano disponibili ai rappresentanti dei lavoratori.
Aude Cefaliello di Etui invece è intervenuta su tre punti precisi: 1) la natura dei rischi su salute e sicurezza, 2) il contesto legale della direttiva, 3) e la realtà del lavoro per come è svolto.
Sul primo punto fa presente come anche per i lavoratori delle piattaforme siano presenti problemi muscolo-scheletrici, stress, isolamento, cyberbullismo, incidenti stradali, uso di prodotti chimici, violenza online, problemi con l’uso intensivo di dispositivi elettronici.
Per i lavoratori online, commenta la ricercatrice, sembrano problemi intangibili ma sono invece reali anche per chi lavora quotidianamente tramite piattaforme.
Sul secondo punto fa presente come i Platform worker al momento non risultano subordinati e di conseguenza non sono soggetti alla direttiva europea su salute e sicurezza (n. 89/391/EEC) restando responsabili dei rischi sul luogo di lavoro.
Infine pone la questione su come considerare i rischi di salute e sicurezza per i lavoratori di piattaforme in base alla direttiva europea 89/391. Secondo Cefaliello serve migliorare la prevenzione per i lavoratori autonomi e allo stesso tempo approfondire la discussione sulle tutele vista la frammentazione e la molteplicità dei lavori svolti.
Martin Gruber-Risak dell’Università di Vienna ha presentato il lavoro di piattaforma come forma virtuale di lavoro precario. Secondo Gruber-Risak gli aspetti di precarietà sono la falsa autonomia, il rapporto di lavoro non chiaro tra le parti, la scarsità e l’incertezza delle ore di lavoro; l’attesa non pagata/stato legale non chiaro; le paghe basse, soprattutto nel caso di chi svolge anche altri lavori part time. La direttiva europea sul salario minimo può avere un ruolo importante in merito, secondo lo studioso austriaco.
Una considerazione importante è stata fatta sulla frase “È solo un’entrata extra” che capita di sentire tra i lavoratori di piattaforme: i secondi lavori sono anche importanti, precisa. Perché le condizioni buone di lavoro non sono una scelta individuale ma un tema da considerare a livello sociale nella sua interezza. Le piattaforme digitali – prosegue Gruber-Risak – hanno facilitato il passaggio dei compiti svolti all’interno di un impiego standard a lavori part time frammentati.
Silvia Rainone dell’Etui invece propone durante il suo intervento di portare la discussione su un nuovo paradigma per garantire diritti e tutele ai lavoratori di piattaforma e chiede: sono ancora gli indicatori della subordinazione a determinare lo sbilanciamento di potere contrattuale nel rapporto di lavoro tra datore e lavoratore? Secondo Rainone il Platform work richiede una definizione più ampia data la precarietà come caratteristica trasversale di questi lavori all’interno di mercati del lavoro monopsonistici.
Sarebbe utile ragionare – secondo la ricercatrice – su un nuovo modello di paradigma connesso direttamente con lo sbilanciamento di potere: legare quindi i diritti del lavoro alla situazione di remissività imposta dalle piattaforme per accettare condizioni di lavoro che i lavoratori hanno poche possibilità di negoziare.
Sulla proposta di direttiva europea vede luci e ombre: è positiva la presunzione di subordinazione ma allo stesso tempo fa notare come ancora sia centrata sulla nozione di controllo. Rainone fa notare come la definizione di lavoro di piattaforma sia ancora troppo stretta e basata sugli aspetti organizzativi.
Un ultimo passaggio è dedicato alle linee guida proposte sulla contrattazione collettiva e la legge europea sulla competizione: la normativa riconosce lo sbilanciamento di potere come giustificazione per espandere l’applicazione di diritti e tutele del lavoro. Andrebbe considerata, secondo lei, anche la giustificazione economica.
Valeria Pulignano, del Centro di ricerca sociologica dell’Università belga di Lovanio ha fatto invece alcune considerazioni sulla ricerca e sul dibattito odierno. La digitalizzazione del lavoro – secondo Pulignano – può essere definita come un punto di svolta per la società civile, i policy maker e altri attori.
Anche se i sostenitori del lavoro tramite piattaforme dicono che questi lavori hanno risolto alcuni problemi del mercato del lavoro, in realtà si nota come la precarietà o il lavoro non pagato siano ancora attuali.
La contraddizione emersa nella ricerca tra le tante ore lavorate e i guadagni bassi è da mettere in risalto. Servirebbe mettere secondo la ricercatrice questi temi sul tavolo di negoziazione tra parti sociali.
Ci sono diversi modi di lavoro non pagato anche a seconda della piattaforma digitale. In particolare, questo aspetto è importante nel delivery, soprattutto sulla classificazione di questi rapporti di lavoro e sulla definizione di pagamento a cottimo.
Pulignano si sofferma in ultimo anche su un altro aspetto importante: quello del lavoro freelance su piattaforma, dove ci sono dei fenomeni di dumping sui prezzi soprattutto su piattaforme che operano a livello internazionale. La direttiva europea secondo la studiosa è un passo importante ma alcuni aspetti vanno studiati meglio come per esempio la gestione dei tempi di lavoro.
Philippe Pochet di Etui ha introdotto il terzo panel sulla proposta di direttiva europea per i lavoratori di piattaforma.
A prendere per primo la parola è stato Ludovic Voet, segretario confederale della Ces.
C’è la necessità di un intervento sul tema del lavoro tramite piattaforme, ha esordito Voet. La proposta di direttiva – ha proseguito – presentata a dicembre 2021 va in quella direzione ed è utile per anticipare i cambiamenti del mercato del lavoro.
Il rappresentante della Ces ha poi commentato come nel 2019 non era così scontato avere una discussione e una proposta sul tema, se non grazie alla mobilitazione dei lavoratori di piattaforma.
Fissare dei criteri per stabilire il rapporto di lavoro è stato utile per capire in anticipo e con certezza come operano le piattaforme e come vengono gestiti gli algoritmi, visto che è davvero difficile monitorare tutte le aziende che entrano nel mercato.
Ci auguriamo – aggiunge Voet – che la direttiva possa identificare le vere piattaforme digitali e differenziarle da quei siti che nascondono intermediazione o subappalti.
Ha fatto notare come più si parli di questa direttiva, più le aziende provano ad aggirare le norme. Per questo secondo Voet serve una crescita sostenibile del settore: se implode, vuol dire che non esiste. Soprattutto se comparato con i settori tradizionali.
Poi si sofferma sulla chiusura o la fuga delle piattaforme da alcuni Paesi dove operano: non importa – commenta il sindacalista Ces – se alcune piattaforme chiudono o vanno via, altre apriranno e lo dovranno fare nel modo giusto. Probabilmente non saranno perfette ma assumono le persone ed è un inizio. Diventa difficile migliorare le paghe orarie per queste aziende, per esempio come è successo in Just Eat, se aziende come Deliveroo o Uber Eats operano in altro modo nel mercato. Intanto – concludendo il suo intervento – abbiamo creato delle relazioni sindacali, ma serve regolare il settore per fare il resto.
Poi è intervenuta Leila Chaibi, rappresentante del gruppo “The Left” in Parlamento Europeo. La bozza di proposta di direttiva europea – commenta Chaibi – è sicuramente nata dalle rivendicazioni dei lavoratori. Dobbiamo ricordare che molte di queste aziende infatti provano a eludere le norme e i costi del lavoro che dovrebbero sostenere e si concentrano solo sui loro ricavi. È stato importante ascoltare i vari portatori di interesse del settore come la Ces, l’Etui, i lavoratori e non solo le aziende con le loro attività di lobbying.
Non vogliamo che le aziende bypassino i loro impegni – aggiunge –, questo si può fare anche abbassando a un solo criterio la presunzione di subordinazione. Serve un processo di codeterminazione e gestione dell’algoritmo che riporti la posizione e le richieste dei lavoratori. Il presidente francese Emmanuel Macron – evidenzia Chaibi – ora è il presidente della Unione europea e siamo preoccupati per le sue posizioni politiche rispetto al tema del lavoro tramite piattaforme. Lavoreremo – conclude la politica francese – a una più ampia coalizione in Parlamento per difendere i diritti dei lavoratori.
Manuela Geleng, responsabile per lavoro e competenze della direzione generale per Occupazione, affari sociali e inclusione della Commissione Europea, ha presentato invece i punti principali della proposta di direttiva europea e ha subito evidenziato come il lavoro di piattaforma sia diventato importante nella nostra economia e sempre più persone ci lavorano. Non ha nascosto l’esistenza di un problema di classificazione e di salari e un numero crescente di ricorsi in tribunale in diversi Stati membri che allo stesso tempo provoca incertezza dal punto di vista legale.
La proposta vuole assicurare che le condizioni di lavoro siano migliorate e allo stesso tempo permettere la crescita sostenibile delle società piattaforme. Serve garantire diritti e tutele ai lavoratori da un lato, dall’altro avere maggiore trasparenza sugli algoritmi.
Ci sono tre temi chiave secondo Geleng: classificazione imprecisa del rapporto di lavoro, gestione degli algoritmi, facilitare il lavoro delle istituzioni nazionali.
La proposta di direttiva è stata sottoposta a una valutazione di impatto sui vari aspetti sociali, economici e ambientali e ha preso in considerazione i punti di vista di molti portatori di interesse.
Abbiamo valutato – ha precisato la rappresentante della Commissione Europea – diverse opzioni prima di presentare la bozza di proposta anche in termini di efficienza, efficacia e coerenza.
Al termine del suo intervento, Geleng ha voluto ribadire come la proposta della Commissione Europea abbia provato a separare chi non è correttamente inquadrato come dipendente da chi è genuinamente autonomo.
MATERIALI
- La proposta di Direttiva europea sul lavoro tramite piattaforme digitali (italiano – pdf)
- La ricerca Etui “The platform economy in Europe” (inglese – pdf)