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Home›Turismo›Ristorazione collettiva: una sentenza, vittoria doppia

Ristorazione collettiva: una sentenza, vittoria doppia

Di master
11 Settembre 2017
4590
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La sentenza con cui il Tribunale di Torino dà ragione alla UILTuCS in un caso di cambio di appalto nella Ristorazione Collettiva assume un valore determinante per l’insieme degli argomenti affrontati. Sempre più frequentemente, nella successione tra imprese per la gestione di un servizio in appalto, il mantenimento dei livelli occupazionali e del monte ore contrattuale dei singoli lavoratori viene messo in discussione dalle aziende, che adducono motivazioni spesso strumentali. Tutto ciò in spregio della clausola sociale contemplata dal CCNL, la cui funzione è stata ribadita anche nel recente Codice per gli Appalti pubblici.

Nel caso in oggetto, l’azienda subentrante avvia una procedura per licenziamento collettivo per “liberarsi” di alcuni lavoratori ritenuti in esubero nell’appalto della mensa della Città della Salute e della Scienza di Torino. Il licenziamento viene impugnato dalla UILTuCS Piemonte con pieno successo.

In primis, il giudice ribadisce il principio che, a fronte di equivalenza e fungibilità di mansioni con addetti operanti in altri appalti, occorre estendere l’ambito di riferimento entro cui individuare i lavoratori da licenziare a tutti gli appalti (o quantomeno a quelli territorialmente limitrofi), secondo i criteri previsti dalla legge n. 223/1991. Questo orientamento – non sempre condiviso dalla magistratura e con riflessi problematici anche per il Sindacato nel rapporto con i lavoratori – ha il merito di costituire un “freno” per quelle imprese che pensano, con questi metodi, di “liberarsi” di personale “scomodo”.

Il secondo principio affermato dal giudice si inserisce nell’annosa questione riferita alla configurazione del cambio di appalto come forma di trasferimento di ramo di azienda. Il dibattito su questo argomento è tuttora intenso, contraddistinto in Italia da posizioni retrive che hanno portato la Commissione Europea ad imporre la recente modifica del Decreto Legislativo n. 276/2003.

Al contrario, in Europa, molti pronunciamenti si sono indirizzati verso la tesi secondo cui ““se in un determinato appalto di servizi un imprenditore subentra ad un altro e nel contempo ne acquisisce il personale e i beni strumentali organizzati (cioè l’azienda), la fattispecie non può che essere disciplinata dall’art. 2112 c.c.”. In tal senso, proprio con riferimento alla Ristorazione Collettiva, ha fatto storia la causa C-340/01 (Abler e altri) del 20 novembre 2013.

Il giudice torinese ha accertato che l’azienda “è subentrata nella piena disponibilità di numerosi locali adibiti ad usi diversi (produzione dei pasti, mensa, lavanderia) e situati presso i vari presidi ospedalieri interessati dall’appalto, (…) compresi impianti, macchine, attrezzature e arredi indicati nel capitolato” e, quindi, si sono realizzate le condizioni di cui al trasferimento di ramo d’azienda con la conseguente applicazione alla vicenda dell’art. 2112 c.c.

La terza disposizione del giudice afferisce la tutela da riconoscere a questi lavoratori, ingiustamente licenziati. La vicenda avviene alla fine del 2015, quando il Job’s Act è ormai pienamente efficace: i rapporti di lavoro instaurati dopo il 7 marzo 2015 non godono più della tutela dell’art. 18 Statuto dei Lavoratori ai fini della reintegrazione in presenza di licenziamento illegittimo.

La UIL aveva fortemente insistito, all’epoca del provvedimento del Governo, affinché fossero salvaguardati i lavoratori degli appalti, il cui rapporto è “naturalmente” soggetto a frequenti cambiamenti del datore di lavoro. Purtroppo, siamo rimasti inascoltati.

Il giudice riconosce oggi il pieno fondamento della tesi da noi sostenuta e lo afferma sia in rapporto alla legge che al CCNL.

  • “posto che il subentro della società nell’appalto del servizio di ristorazione costituisce a tutti gli effetti trasferimento d’azienda ai sensi dell’articolo 2112 c.c., ciò impone di retrodatare l’instaurazione del rapporto interrotto dal licenziamento impugnato alla data di decorrenza che esso aveva con il precedente appaltatore. Per tutti i ricorrenti essa è certamente anteriore alla data del 7 marzo 2015 in cui è entrato in vigore il d.lvo n. 23/2015, con conseguente applicazione della tutela prevista dal c.d. degli artt. 18 comma 4 legge 300/1970.”
  • Nel CCNL si evince “chiaramente che la scelta della novazione del rapporto di lavoro dal punto di vista formale coesiste con una chiara volontà delle parti collettive di dare, però, sostanziale piena rilevanza all’anzianità effettiva dei lavoratori acquisiti sul posto lavoro.” E’, quindi, la prima data di assunzione nell’appalto ad assumere rilievo ai fini del calcolo dell’anzianità nei casi in cui la legge si riferisce a questo criterio.

In conclusione, questa sentenza rappresenta un ottimo punto di riferimento per la tutela dei lavoratori e delle lavoratrici impiegati in appalti di servizi, in collegamento con la modifica del DLgs. 276/2003 e la riforma del Codice degli Appalti. La discussione in atto con le imprese della Ristorazione e della Vigilanza Privata dovranno sicuramente tenerne conto.

La battaglia per il diritto alle clausole sociali continua, oggi festeggiamo una prima vittoria!

Scarica la sentenza del Tribunale di Torino del 12 agosto 2017.

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