Vertenza Sheraton, emblema della crisi: il racconto

Sempre più forte e senza sconti, la crisi che si sta abbattendo, come una mannaia, sul turismo in Italia.
Emblematica la vertenza Sheraton a Roma, che prelude ad una crisi occupazionale nel settore, e per la città, senza precedenti.Sono
ben 164 i licenziamenti formalizzati dal Fondo belga Larimar che, dopo aver fatto shopping e scelto un sito turistico di riferimento per la città, rimane nell’immobilismo per tutta la durata della pandemia, chiudendo l’albergo senza procedere ai necessari lavori di ristrutturazione.
Non solo: allo scadere del divieto ai licenziamenti, sceglie strumentalmente e tardivamente di iniziare la ristrutturazione per crearsi un alibi all’apertura della procedura di mobilità.
A fargli compagnia, nella Capitale, ci sono anche l’Hotel Cicerone, di proprietà cinese, con 41 lavoratori, l’Hotel Majestic, con 51 lavoratori, e l’Hotel Ambasciatori, con 51 lavoratori.
Sicuramente, la lista dei possibili licenziati è destinata a crescere.
“Questa strategia – spiega Roberta Valenti, segretaria regionale della Uiltucs di Roma e del Lazio – evidentemente antecedente alla crisi pandemica, qualifica una scelta imprenditoriale improntata unicamente all’ottimizzazione dei profitti delle proprietà che intendono fare affari a danno dei lavoratori e del tessuto turistico romano che vede in queste manovre una dequalificazione dell’offerta turistica che dovrebbe invece rappresentare il volano di ripresa per la nostra città, oltre a creare un problema occupazionale insopportabile”.
“Nessuno – incalza la sindacalista – può distrarsi di fronte a questo: né la politica, né le istituzioni, né le associazioni datoriali”. “Tutti – aggiunge – devono posizionarsi assumendo un ruolo attivo ad evitare una prospettiva sociale di crisi dell’occupazione e del settore che la nostra città non può sopportare”.
Decise anche le parole del delegato Uiltucs Sheraton, Gianni Galdieri, interessato in prima persona da una vertenza complessa divenuta il simbolo della crisi dell’intero comparto.
Galdieri di anni ne ha 62, conosce 4 lingue, ed è assunto dal 1983. Non è certo il primo arrivato. Eppure, viene trattato così da Sheraton, azienda che tenterà anche, tra l’altro, la carta del cambio di nome perché, alla riapertura, si chiamerà Cardo Hotel.
Ma attenzione: nome nuovo, stesse persone.
E stessa situazione, che si paventava da tempo anche se è esplosa solo ultimamente.
“Da 15 anni viviamo situazione difficili – spiega Gianni – e facciamo grandissimi sacrifici per mandare avanti la società. Un esempio? Abbiamo siglato un accordo per la soppressione del nostro aumento di stipendio che, al contrario, tutti hanno avuto a livello nazionale. Abbiamo lavorato anche 12 ore di fila, pur di mantenere il posto”.
“All’inizio – spiega il lavoratore – la società si è presentata con l’intenzione di rinnovare l’albergo, una struttura che a dire dei clienti, e non solo, aveva bisogno di una ristrutturazione. Così la società ci ha presentato un progetto faraonico che, però, non è stato mai realizzato”.
Son passati 5 anni senza che si muovesse niente. E i lavoratori in attesa, anche davanti alla cessione di ramo d’azienda.
E’ lì, secondo il sindacato, che si sono cominciati a mostrare per quel che erano mettendo i lavoratori nei guai. Lavoratori che tengono al loro posto ma anche al settore del turismo in generale.
Proprio per questo, per il comparto, Gianni lancia una proposta: una cassa integrazione solo per il turismo per garantire autonomia e solidità.
“Se una quota della tassa di soggiorno – spiega – fosse destinata alla nostra cassa, il settore intero domani avrebbe una sua base da cui attingere”. Proposta che rivela la necessità di avere certezze, proprio quelle che mancano, da troppo tempo, ai lavoratori dello Sheraton.