Colf e badanti, il controverso obbligo Green pass tra disagi e rischi
La denuncia del responsabile nazionale Uiltucs Mauro Munari e i dubbi sul decreto
Dal 15 ottobre obbligo del green pass per colf, baby sitter e badanti, come per tutti i lavoratori del pubblico e privato. L’estensione è stata decisa nel Consiglio dei ministri di questa settimana e ha scatenato perplessità e reazioni, complici le informazioni frammentarie e la scarsa chiarezza per l’operatività nei dettagli del settore colf e badanti.
Per quanto possibile, proviamo a vederci più chiaro.
Iniziamo dal testo della disposizione, che riguarda anche il lavoro domestico, che recita: “Chiunque svolge una attività lavorativa nel settore privato è fatto obbligo, ai fini dell’accesso nei luoghi in cui la predetta attività è svolta, di possedere e di esibire su richiesta la certificazione verde”.
In base al nuovo decreto del Governo, n.127/2021, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 21 settembre, il green pass sarà obbligatorio dal 15 ottobre e fino al 31 dicembre, giorno in cui è decretata, al momento, la fine dello stato di emergenza nazionale.
I dipendenti – comprese colf e badanti – in caso di mancata presentazione del Green pass ai datori di lavoro, non potranno accedere, secondo il decreto, al luogo di lavoro.
Verranno quindi considerati assenti ingiustificati fino a presentazione della certificazione (comunque non oltre il 31/12/2021) e verrà applicata loro la decurtazione dello stipendio, conteggiata dal primo giorno di assenza, con diritto al mantenimento del rapporto di lavoro e senza conseguenze disciplinari.
Equiparare gli assistenti familiari (colf, badanti e baby sitter) agli altri lavoratori dipendenti è sicuramente un fatto positivo, pur tuttavia non si tengono in considerazione le differenze di tutele, di retribuzione e di sicurezza nei luoghi di lavoro che caratterizzano il settore del lavoro domestico rispetto agli altri.
A questi aspetti controversi si aggiunge anche il fatto che la casa secondo alcuni non è equiparabile in toto al tradizionale posto di lavoro. Ma non è certo il solo. C’è il ruolo delle famiglie, datrici di lavoro, chiamate a improvvisarsi controllori. Con quali strumenti e quali garanzie faranno le verifiche?
Se lo chiede Mauro Munari, responsabile del settore per la Uiltucs nazionale. E tra le domande che si sommano, c’è anche un quesito metodologico. “In che modo – continua Munari – le famiglie possono chiedere alla colf di esibire il green pass se non hanno neanche provveduto a siglare il relativo contratto? Con il rischio di “auto-denunciarsi?”. ”
Se l’obiettivo era quello di evitare nuovi focolai di contagi nelle nostre famiglie, non credo che in questa situazione la norma, così come è stata scritta, possa risolvere il problema.
Occorrerebbe, inoltre, prevedere un’adeguata campagna di comunicazione e informazione per questa categoria di lavoratori, che in molti casi non parla ancora bene l’italiano”.
Anche perché, a leggere la norma, sono i datori di lavoro ad aver l’obbligo di definire, entro il 15 ottobre, le modalità operative per l’organizzazione delle verifiche. Sono, sotto questo aspetto, comprese anche le famiglie che hanno assunto colf e badanti?
Al momento, quel che è certo, sono le sanzioni, salate, previste, per i lavoratori che accedono ai luoghi di lavoro senza il possesso del Green pass, e che vanno da 600 a 1.500 euro; mentre le sanzioni per i datori di lavoro che non abbiano previsto il controllo delle certificazioni vanno da 400 a 1.000 euro. Chi è dunque incaricato degli accertamenti?
È possibile poi, per tutte le famiglie, verificare le carte verdi? Come possono fare alcuni anziani, invalidi e altre persone fragili magari non digitalizzate, a farsi carico di queste verifiche?