Festa della donna, tutele e dignità per tutte
Di Marianna Flauto, UILTuCS Sicilia
La ricorrenza dell’8 marzo, e il ricordo di quello che rappresenta, inevitabilmente ci portano a riflettere sulle attuali condizioni di lavoro delle donne, sul loro livello di emancipazione verso i ruoli apicali all’interno di una impresa, o di una qualsiasi attività. Ma anche all’interno del nostro mondo sindacale.
Siamo nel 2021, in piena pandemia: l’emergenza sanitaria ha fatto emergere tutte le debolezze e la fragilità di un sistema, di una società ancora imperniata su un modello fortemente maschilista.
In questi ultimi mesi, in lockdown, quando le attività e le scuole hanno chiuso, il peso dell’impegno per la famiglia, dell’assistenza agli anziani ancora una volta è ricaduto sulle donne; tante donne costrette ad usufruire del congedo parentale per potere rimanere a casa ad accudire i figli o i nonni.
Il ritorno alla normalità, che speriamo arrivi prestissimo, ci deve trovare preparati per potere affrontare seriamente questa condizione fortemente discriminante. Una condizione che fa emergere come ancora il problema della parità di genere sia un’utopia.
Il tema della parità non può essere demandato esclusivamente alla contrattazione; oggi più che mai è necessario un intervento legislativo che possa colmare un divario che è genetico, come è un fatto genetico che la maternità è donna.
La proposta legislativa, dandoci un obiettivo temporale, deve partire dall’analisi dei fabbisogni di quei servizi che si rendono necessari, e che devono essere offerti dallo Stato per potere superare questo divario.
Oggi i dati ci dicono che la percentuale di donne che occupano posti di vertice è nettamente inferiore a quella degli uomini, e nella maggior parte dei casi le donne che svolgono tali ruoli hanno dovuto rinunciare sempre a qualcosa.
Spesso hanno rinunciato al tempo pieno, talvolta alla possibilità di costruirsi una famiglia e di avere dei figli per potere andare avanti nella carriera e stare al passo con gli uomini.
Sta proprio qui il problema: la donna non deve stare al passo con gli uomini, la donna è differente. È diversa geneticamente, e con le sue differenze deve avere la possibilità di avere le stesse opportunità degli uomini mantenendo, al tempo stesso, la sua naturale diversità.
Per questo motivo bisogna puntare su un cambiamento di mentalità che miri ad un equilibrio dei ruoli tra uomo e donna, dove non è la donna a doversi porre l’obiettivo di “raggiungere ” l’uomo.
Deve essere l’uomo, invece, che deve adeguare la propria prospettiva nell’ambito della famiglia, e della società in generale, in un mondo in cui le quote rosa non hanno ragione di esistere.
Perché? Sono esse stesse una discriminazione. Partendo dalla politica, quindi, si deve affrontare questo tema mettendo in campo una serie di misure e di servizi di cui la società ha bisogno: servizi pubblici di assistenza agli anziani, ai disabili, asili nido e servizi di assistenza all’ infanzia, per sostenere le famiglie e permettere alle donne di impegnarsi a pieno nella propria attività.
Attraverso le risorse del Recovery found si potranno indirizzare risorse su un pacchetto di misure che possono dare una risposta in tal senso. Ad esempio, il riconoscimento di permessi retribuiti per la malattia dei figli, fino ad un certo anno di età, così come la decontribuzione per quelle imprese che garantiscono la programmazione di turni agevolati, oltre al riconoscimento di maggiori periodi di contribuzione per ogni figlio nato con uomini che svolgono il servizio militare.
E ancora: riconoscimento di detrazioni fiscali per quelle aziende che organizzano dentro l’impresa il servizio di assistenza ai bambini dei dipendenti, e assegno baby sitter. Tutti esempi del contributo che il sistema pubblico e la politica possono dare per superare questo gap.
Il ruolo propositivo del sindacato confederale e di categoria è determinante, perché il sindacato più di chiunque altro conosce veramente i problemi del mondo del lavoro e della condizione femminile.
Ci auguriamo che questa pandemia rimanga soltanto un brutto ricordo ma ci lasci quella voglia di cambiamento e di rinascita in cui il problema del superamento del divario di genere diventi una priorità.
L’8 marzo è un’occasione per ricordare e per affrontare anche il fenomeno, drammatico, del femminicidio, e di qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulla dona in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale.
Violenze, queste, che nascono per esercitare potere, per subordinare la donna al volere di uomini fragili e violenti, che vogliono annientare l’identità delle donne attraverso l’assoggettamento fisico e psicologico, fino alla schiavitù, o peggio, alla morte.
Un’ impostazione primitiva, in un mondo che è già entrato nel terzo millennio, che fa registrare negli ultimi mesi un incremento dei casi di violenza sulle donne. In questo, i limiti di spostamento della pandemia, sono stati complici.
Anche in questo caso gli interventi legislativi hanno fatto un piccolo passo avanti, ma ancora siamo lontani dal creare quel reale sistema di protezione delle donne dalla violenza maschile.
La burocrazia è lenta e l’elemento tempo, in questo caso, è davvero determinante per salvare una vita. Per questo come UILTuCS chiediamo un intervento legislativo forte, che garantisca alle vittime di violenza di allontanarsi da casa e dal lavoro tempestivamente e in sicurezza avendo riconosciuto anche quel sostegno economico necessario per superare le difficoltà del momento.
Attraverso la contrattazione si rende necessaria l’introduzione di norme che tutelino le lavoratrici vittime di violenza, sia prevedendo la possibilità di chiedere ferie e permessi da fruire tempestivamente senza preavviso, sia la possibilità di chiedere l’aspettativa e il diritto di chiedere l’anticipazione delle mensilità aggiuntive e del Tfr in questi specifici casi.
La contrattazione può avere un ruolo importante, ma non deve essere esclusivo e deve essere complementare a quello legislativo. Nei prossimi rinnovi contrattuali questi temi dovranno essere affrontati e la UILTuCS non farà mancare la sua voce.
Buon 8 marzo a noi.
Ecco alcuni contributi per celebrare la giornata internazionale della donna che abbiamo ricevuto e condividiamo di seguito
Di Samantha Merlo, UILTuCS Liguria
Quando si parla di lavoro femminile si parla spesso di lavoro di cura. Lavoro di cura nelle più svariate accezioni: lavoro di cura come professione, lavoro di cura come aspirazione e lavoro di cura come stereotipo.
Lavoro di cura come professione, perché oggi in Italia sono circa due milioni i rapporti di lavoro nel settore domestico, anche se il 60% degli stessi alimentano le maglie del lavoro nero.
Un settore a prevalenza femminile, con percentuali che si avvicinano al valore assoluto: il 90% è donna, con un’età media pari a 47 anni, perlopiù con basso livello di scolarizzazione e straniera.
L’unico comparto, a prevalenza femminile, che nel corso del 2020 ha registrato un incremento; ma non c’è nulla di cui gioire, il boom di assunzioni registrate nel mese di marzo 2020 deve essere letto per quello che è: 50.000 rapporti di lavoro in nero che la pandemia ha fatto riemergere a causa delle restrizioni alla circolazione previste durante il lockdown.
Quasi due milioni di lavoratrici che chiedono di essere valorizzate, perché occuparsi delle famiglie, degli anziani e dei bambini significa contribuire alla crescita del Paese.
Da qui la necessità di realizzare una vera e propria carta di identità delle lavoratrici e dei lavoratori del settore, dove la formazione assuma un ruolo centrale e dove il lavoro, quello dichiarato, quello in regola, favorisca l’emancipazione femminile soprattutto in quelle fasce di popolazione dove la fragilità delle donne è più radicata e “invalidante”.
Ma il lavoro di cura fa parte anche della quotidianità della donna: è sinonimo di casa, è sinonimo di famiglia, di cura dei figli e degli anziani. Fa parte del vissuto di una donna ed è ciò che ci rende così forti e al tempo stesso così fragili. Forti perché c’è una potenza immensa nell’essere madri e una dedizione infinita nell’essere figlie e mogli.
Fragili perché il senso del dovere verso la sfera famigliare ci fa assumere spesso delle decisioni che ci portano via un pezzo del nostro futuro. Lamentiamo spesso carenza di servizi per i nostri bambini e per i nostri anziani, anche se dentro di noi sappiamo che asili nido, servizi educativi, centri diurni e riabilitativi, possono essere un valido supporto, ma non possono sostituire la nostra presenza.
Ci pacifichiamo (con noi stesse) a tratti e con gli anni, quando ci rendiamo conto che, nonostante tutti gli sforzi, nonostante i mille voli pindarici cui ormai siamo abituate, qualcosa è sfuggito al nostro controllo.
E ci sentiamo realizzate quando riusciamo a dare il nostro contributo alla società: crescendo i nostri figli così come innalzando i profitti dell’impresa per cui lavoriamo.
Ma il lavoro di cura è anche ciò a cui una donna si dedica per abitudine, per mancanza di alternativa, perché culturalmente non si è fatto ancora quel salto a cui tutte noi auspichiamo.
La partecipazione attiva alla vita famigliare non può essere una prerogativa femminile. Abbiamo bisogno di un’evoluzione del mondo del lavoro, dove la flessibilità degli orari possa essere vista come una risorsa, non come un intralcio alla produttività.
Abbiamo bisogno di ridurre il divario economico tra lavoratrici donne e lavoratori uomini: solo con la parità retributiva sarà più facile una redistribuzione dei congedi parentali tra genitori.
Abbiamo bisogno di una maggiore tutela della maternità: l’organizzazione mondiale della sanità raccomanda l’allattamento al seno, laddove possibile, fino al sesto mese del bambino e non si capisce perché le tutele economiche previste dalla maternità obbligatoria, nella migliore delle ipotesi e solo se una donna ha lavorato fino alla vigilia del parto, arrivino solo fino al quinto mese.
Abbiamo davanti a noi un percorso reso ancora più difficile dagli effetti della pandemia sul mercato del lavoro che ha aumentato il gap di genere sul tasso di occupazione (da 17,8 si è passati a 18,3 punti percentuali).
E abbiamo una grande opportunità rappresentata dal Recovery plan: un’occasione da non perdere per cominciare ad aggredire le profonde diseguaglianze di genere, dando vita a nuove politiche di welfare e a politiche contrattuali innovative.
La Nostra Società, quella che vogliamo delineare per le nuove generazioni, quella in cui le nostre figlie e i nostri figli trovino il loro spazio e definiscano il loro futuro, non ha bisogno di donne in carriera, non ha bisogno di donne-uomo, non ha bisogno di donne madri, non ha bisogno di donne di casa…la Nostra Società e Noi abbiamo bisogno di donne libere, libere dagli stereotipi, libere dal pregiudizio, capaci di affrontare delle scelte per il loro futuro professionale e personale in totale libertà. Sono una scelta libera e consapevole può essere chiamata tale… una scelta lacerante, che ti obbliga a sacrificare qualcosa a dispetto di altro, carriera o figli, lavoro o famiglia, non è mai una scelta libera!
Di Caterina Fulciniti, UILTuCS Reggio Calabria
L’8 marzo è la festa per celebrare e ricordare tutte le donne che con il loro sacrificio hanno fatto sì che si che la donna potesse affrancarsi dall’assoggettamento a cui era costretta. Ma è anche l’occasione per riflettere su quanto ancora c’è da fare, in una società che non è riuscita a trovare il giusto equilibrio nella diversità di genere.
Di Cristina Damato, UILTuCS Marche
L’8 marzo si celebra la giornata internazionale della donna, dove, oltre a ricordare le conquiste raggiunte si dovrebbe parlare soprattutto delle innumerevoli situazioni in cui ancora ad oggi si trovano ad essere discriminate a causa della loro appartenenza di genere.
Per fortuna al giorno d’oggi grazie alla caparbietà delle donne il futuro si fa sempre più “ROSA”,In tanti ambiti, da quello professionale a quello dell’attribuzione di alte cariche, mantenendo però sempre e costante il proprio ruolo tradizionale che contraddistingue ognuna di noi.
Ciò che manca nella nostra società, malgrado una superficiale velatura di parità di genere è ancora il vero RISPETTO, dove si continua a mantenere un atteggiamento severo e sessista.
L’8 marzo si limita sempre più spesso ad un superficiale mazzolino di mimosa, quando invece servirebbe aprire momenti di discussione dove si, si deve guardare al passato, ma coinvolgendo le nuove generazioni in un ragionamento più ampio sui ruoli di genere del XXI secolo.
In Uiltucs da tre anni, orgogliosa di far parte di questa splendida squadra di uomini e tante donne ma soprattutto fiera di poter portare avanti i diritti dei lavoratori e delle mie LAVORATRICI, che in tanti ambiti non sono solo numeri di aziende ma vere e proprie fondamenta.
Buon 8 marzo a tutte noi.
Di Cristina D’Ambrosio, UILTuCS Liguria
Alle origini dell’8 marzo. La vera storia della “Festa della donna”, tra storia ed attualità
La Festa della Donna, celebrata l’8 marzo di ogni anno in tutto il mondo, è una ricorrenza che risale ad episodi storici ben precisi, di cui è rimasta traccia nelle notizie riportate da libri e giornali, ma è anche circondata da un alone di mistero.
Si narra di uno sciopero organizzato a New York nel marzo del 1857, in cui un corteo di donne manifestanti sarebbero state disperse violentemente dalla polizia.
Sono gli anni delle battaglie per le otto ore di lavoro negli Stati Uniti ed in Europa. Gli storici fanno inoltre menzione ad un episodio avvenuto l’8 marzo del 1908 in una fabbrica di Washington Square, New York, (in alcuni documenti si parla di Boston o Chicago), dove 129 operaie, a seguito di una protesta contro il datore di lavoro, sarebbero morte durante la contestazione nel rogo dell’edificio dove lavoravano.
In Italia la festa ha origini più recenti: l’8 marzo del 1945 un gruppo di donne appartenenti all’UDI (Unione Donne Italiane) si riunì a Roma per manifestare contro miseria e stenti durante la seconda guerra mondiale.
La festa vera e propria fu celebrata solo l’anno successivo, dopo che a Londra si erano riunite le rappresentanti di venti nazioni per redigere la “Carta della donna”, richiedendo il diritto al lavoro in tutte le industrie, la parità salariale, la possibilità di accedere a posti direttivi e di partecipare alla vita politica ed internazionale.
E fu proprio il 2 giugno del 1946 che la donna italiana, per la prima volta nella storia del nostro Paese, poté partecipare in maniera attiva, contribuendo con il proprio voto alla nascita della repubblica.
Ancora oggi, le donne sono protagoniste di lotte e battaglie per la parità di genere ed un equo trattamento in famiglia, sul lavoro, nella società più in generale, un mondo che in tempi di pandemia e di recessione globale non si dimostra all’altezza della situazione.
Il virus del Covid, da un anno a questa parte, sta colpendo l’umanità, accanendosi sui soggetti più fragili, mietendo migliaia di vittime. Un virus che rende la vita difficile a tutti gli individui e a tutte le comunità, soprattutto alle donne.
Nei nostri settori, a prevalenza occupati da donne, le donne sono in prima linea quotidianamente (supermercati, case di riposo, strutture sociosanitarie, colf e badanti, mense scolastiche) oppure, come accade nel turismo, sono costrette a lavorare per poche ore, o per nulla, attendendo per mesi il fondo d’integrazione salariale, che stenta ad arrivare.
E poi ci sono le donne che lavorano in aziende commerciali, in smart-working, all’apparenza più fortunate, ma in continua lotta con i figli, anch’essi collegati da casa in DAD.
Per queste donne occorre ancora lottare, per la loro sicurezza sul luogo di lavoro, per ottenere strumenti di ammortizzazione sociale più veloci e più snelli, servizi di supporto alla famiglia più adeguati, maggior parità di salario e migliori condizioni di vita e di lavoro.
Secondo Eurostat, il gender pay-gap in Italia è stato nel terzo trimestre dello scorso anno dell’8,7%, rispetto alle paghe degli uomini, un livello in crescita in confronto al 7,9% del secondo trimestre 2019.
In Italia una donna su due non fa parte del mondo del lavoro; secondo i dati Istat gli uomini occupati sono circa il 70%, mentre le donne con un lavoro sono meno del 50%. Il 70% di chi ha perso il lavoro nel 2020 è donna.
A causa anche della crisi economica, che il Covid ha portato con sé, hanno perso il lavoro 312.000 donne, su un totale di 444.000 persone. Parliamo di circa il 70.27%, oltre i due terzi di chi non lavora più dal 2020 è rappresentato da donne.
Crediamo fermamente che la contrattazione collettiva e la contrattazione di genere possano, mai come adesso, essere un volano ed un contributo importante per raggiungere questo obiettivo in sinergia con disposizioni legislative a miglioramento della questione.
Se riusciremo a promuovere tutto questo, e condividere davvero il lavoro di cura e di accudimento, potremo dire che la festa dell’8 marzo sarà celebrata pienamente e per davvero.
Di Coordinamento Ogni mese lOtto – Uiltucs Trentino Alto Adige Sudtirol (Annalisa Santin – Elisa Lascialfari – Vassilios Bassios)
Ogni mese lOtto.
Buon 8 marzo a tutte!
Come ha detto poco fa il nostro Segretario Generale Uil Bombardieri quest’anno non possiamo considerarlo come un giorno di festa. L’otto marzo deve diventare un giorno di lotta contro la disparità di genere.
La parità tra uomo e donna deve essere considerata il punto di partenza e non il punto di arrivo. Non è tollerabile che l’intera crisi pandemica globale ricada maggiormente sulle donne e non è tollerabile che la donna debba scegliere tra organizzazione del lavoro e famiglia.
Eppure in questi mesi solo le donne si sono trovate davanti a questa scelta. Come fare ad organizzare il lavoro e ad occuparsi dei figli o della cura dei genitori. Come fare a lavorare in smart working ed ad organizzare la DAD dei figli.
Sono domande che la maggior parte delle lavoratrici si sono poste. Eppure la crisi ha investito ugualmente e globalmente tutto il mondo del lavoro. Questa era la normalità, ora il cambiamento deve partire da noi donne. Dobbiamo iniziare a riconoscere e a conoscere i nostri diritti e a pretendere la parità. Allo stesso tempo anche ai nostri nostri compagni, mariti, colleghi, amici maschi spetta il compito di riconoscere le disparità e di attivarsi per azzerarle.
Nei prossimi mesi ci troveremo di fronte a delle sfide sindacali nuove. Nonostante ciò, non possiamo dimenticare di dover risolvere e sedimentare le problematiche che già conosciamo.
Tra queste alcuni esempi quali il divario salariale, lo stereotipo delle professioni, la violenza di genere e lo stalking nei luoghi di lavoro nonchè la lotta al linguaggio sessista e degradante.
Le cattive abitudini ed i luoghi comuni sono terreno fertile per giustificare violenza e discriminazioni verbali e fisiche. Creare nuovi modelli di convivenza e di condivisione è una battaglia di civiltà e come tale deve essere considerata da tutti.
Dobbiamo ripartire con un nuovo disegno sociale costruito dalle donne e condiviso da tutti. Non cerchiamo di tornare alla normalità pre-pandemia perché la società di prima non era normale.
Sfruttiamo la crisi dovuta alla pandemia per ripartire dall’anno 0. Identifichiamo tutte le pratiche sociali che hanno creato delle forme di disparità e differenziazione tra uomo e donna, abbattiamole e sosteniamo nuovi modelli per il raggiungimento dell’uguaglianza di genere nel mondo del lavoro.
Di Daniela De Vincenzo, Coordinatrice delle guide turistiche della UILTuCS Campania
La festività dell’8 marzo, che ogni anno porta con sé inevitabili riflessioni sul concetto di parità tra i sessi, quest’anno impone considerazioni che vadano ben oltre sterili e stereotipati propositi.
Al di la dei messaggi che arrivano ogni giorno dai mezzi di comunicazione di massa, nella realtà comune, le donne ancora oggi subiscono differenziazioni di trattamento determinate da un’ottica antiquata che assegna alla donna un ruolo e una funzione di secondo piano.
Purtroppo sono ancora troppo frequenti disparità nella progressione di carriera, ingiustificabili differenze di retribuzione, discriminazioni sul posto di lavoro, perché figlie di una mentalità dura a cambiare dove il rispetto per la dignità ed il ruolo lavorativo della donna sono diversi da quello dell’uomo.
In un paese dove il Welfare è praticamente inesistente, la maternità può diventare un handicap o un lusso, di fronte alla quale molte, troppe donne alla fine rinunciano…… alle loro ambizioni, alla voglia di essere madri e lavoratrici e se non rinunciano…….accettano di essere relegate a ruoli marginali.
La pandemia ha ulteriormente inasprito la condizione femminile interrompendo quel lento e complicato processo di equiparazione che i Costituenti avevano posto a fondamento della Repubblica nel lontano 1948.
I dati sono oltremodo allarmanti:
1) tasso di occupazione femminile sceso al di sotto del 50%
2) 440.000 lavoratrici in meno rispetto a dicembre 2020
3) 1.300.000 posti di lavoro femminile a rischio
4) significativo aumento dei casi di violenza contro le donne tra le mura domestiche
Il lockdown e la quarantena, seppur necessari, hanno di fatto contribuito ad aumentare l’isolamento delle donne e le loro difficoltà ad attivare reti di supporto, favorendo il fenomeno definito dalle Nazioni Unite “pandemia ombra” proprio per sottolinearne l’impatto devastante.
Di fronte ad un quadro del genere, forse, sarebbe il caso di ribaltare la prospettiva ed affrontare la questione da un punto di osservazione differente: uomini e donne sono geneticamente e psicologicamente differenti, e proprio nella loro differenza va ricercato l’equilibrio.
Attuare una reale parità di opportunità, implica accettare e valorizzare le differenze concependo solo l’individuo ed i suoi meriti, sganciato dalla contrapposizione uomo/donna.
In quest’ottica il ruolo sindacale è determinante per la rimozione di tutti quegli ostacoli che i lavoratori ed i professionisti, indipendentemente dal loro sesso, possono incontrare.
Spetta, invece, alla politica predisporre servizi e misure rivolte al sostegno ed all’assistenza della famiglia quale embrione fondamentale della società del futuro.
Di Tiziana Agostini, UILTuCS Piemonte, intervento al convegno UIL CGIL CISL dell’8 marzo
Buongiorno a tutti,
voglio utilizzare al meglio i 5 minuti che sono concessi al mio intervento andando subito al punto, mi consento preliminarmente solo di ringraziare per la considerazione che è stata riservata sia a me che al mio settore d’attività.
Lavoro nella ristorazione scolastica in un grande comune della città metropolitana di Torino.
Le lavoratrici di questo settore rappresentano al meglio o al peggio, secondo i punti di vista, le condizioni femminili più problematiche, determinate da una forte influenza di cultura, a mio parere, discriminatrice di genere.
Nel settore siamo tutte part time misti e cioè lavoriamo dalle 3 alle 5 ore al giorno per 5 giorni la settimana e per alcuni mesi all’anno.
In pratica diamo il pranzo ai bambini delle scuole nel periodo previsto dal calendario scolastico.
Domanda: siete part time volontarie o involontarie?
Risposta: né l’una né l’altra, esiste una diversa tipologia di part time poco citata: il PART TIME DI NECESSITÀ.
NECESSITÀ dovute al ruolo che la cultura dominante di genere assegna alle donne.
NECESSITÀ perché in quanto donna occorre avere il tempo per curare la casa e la famiglia.
NECESSITÀ perché in quanto donna occorre avere il tempo per crescere e accudire i figli.
NECESSITÀ perché in quanto donna si deve lavorare quanto basta e cioè compatibilmente alle altre necessità, solo per arrotondare il reddito familiare.
Con l’andar degli anni capita anche che possiamo restare sole, ma con i figli ancora a carico.
Allora lo stipendio che serviva ad arrotondare il reddito familiare diventa l’unico magro stipendio ed i rimedi sono scarsissimi.
Perché nel frattempo siamo diventate signore mature poco appetibili per il mercato del lavoro, sia per lavori a tempo pieno sia per il cumulo di più rapporti di lavoro part time.
L’unico rimedio, comunque per nulla scontato, è svolgere qualche lavoretto in nero e di bassa professionalità.
In quest’ultimo anno di pandemia è emersa ancora di più la fragilità della nostra condizione di donne e di lavoratrici.
Gli ammortizzatori sociali hanno tardato mesi nel dare il loro effetto economico ed hanno coperto meno del 50% dello stipendio, i lavoretti di contorno sono per la maggior parte venuti meno.
Con il nostro reddito pieno da lavoro si arrivava al pelo a fine mese.
Lascio immaginare cosa abbiamo vissuto percependone meno della metà e molte di noi sprovviste di qualsiasi risparmio al quale attingere.
Molte non hanno pagato mutui, affitti e bollette.
Molte hanno fatto ricorso a prestiti o ad aiuti di parenti stretti.
Alcune hanno dovuto ricorrere persino alla Caritas per mangiare.
All’origine di tutto questo però vi è una cultura che rende subalterna la donna nel ruolo che le viene assegnato in famiglia e nel rapporto con il mercato del lavoro.
Cosa si può fare?
Far evolvere la cultura della parità di genere in tutti i campi è la cosa principale da perseguire, ma è un processo non breve.
Nel frattempo quantomeno si potrebbe favorire con incentivazioni il cumulo dei rapporti lavorativi quando viene meno il part time di necessità;
Inoltre le lavoratrici singole, a maggior ragione se con figli a carico e con rapporti di lavoro parziali, dovrebbero avere protezioni sociali ulteriori rispetto a coloro che si trovano in condizioni meno sfavorevoli.
Ho riportato l’esperienza di noi lavoratrici della ristorazione scolastica perché esemplare in quanto, guarda un po’, non c’è nessun uomo impiegato in questa attività, ma è noto che la condizione da me descritta è vissuta da molte lavoratrici anche in vari altri settori d’attività.
Si dice che tutti i giorni dovrebbero essere l’8 marzo;
io lotto e spero affinché in futuro vi sia solo un 8 marzo di festa, a memoria dell’avvenuta conquista della reale e completa parità di genere e quindi a ricordo del successo delle lotte delle donne.
Grazie per l’ascolto.