Puma Italia: ristrutturazione non condivisa
Il 23 gennaio scorso si è conclusa con esito negativo presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali la fase amministrativa della procedura di mobilità aperta da Puma Italia srl (la seconda in 2 anni) in data 12 novembre 2012.
La procedura in fase sindacale aveva visto confrontarsi le OO.SS. con l’azienda in due incontri svolti nei giorni 30 novembre e 14 dicembre 2012 che non avevano consentito di giungere ad una positiva e dignitosa soluzione relativamente agli esuberi (21 in fase di comunicazione della procedura così ripartiti nell’ambito della Divisione Distribuzione: 14 a Milano, 3 a Roma, 1 a Pozzuoli ed 1 a Vicenza; ridotti poi a 19 nel corso della discussione in fase amministrativa) dichiarati dall’azienda: infatti, Puma Italia intende gestire la dichiarata crisi aziendale attraverso una ristrutturazione che si inserirebbe in un più ampio e mal precisato piano di riorganizzazione della multinazionale a livello europeo con l’utilizzo dei licenziamenti collettivi.
UILTuCS, Filcams e Fisascat hanno fin dal principio dichiarato che:
– lo strumento più idoneo ad affrontare la crisi aziendale e la prevista riorganizzazione non fosse il licenziamento collettivo ma la Cassa Integrazione Guadagni, anche a rotazione (anche in considerazione del ridotto numero di lavoratori interessati rispetto all’organico compessivo, meno del 10% sul totale dell’organico), che avrebbe garantito ai lavoratori interessati un dignitoso sostegno al reddito anche distribuito su una platea di soggetti più ampia ed avrebbe fornito alla azienda uno strumento più flessibile, proprio per gestire gli esuberi nella attuale incerta fase di mercato (non è chiara la durata a breve medio termine della attuale crisi di mercato) e la ristrutturazione aziendale;
– si sarebbe dovuto esplorare l’utilizzo di strumenti come il Contratto di Solidarietà per le funzioni e le sedi coinvolte dalla richiesta di Puma Italia.
Tale discussione si è riproposta negli stessi termini in sede ministeriale e, nonostante i tentativi compiuti dalle OO.SS., i vertici dell’azienda non hanno compiuto alcun passo verso una soluzione concordata e praticabile. Da ultimo, si è ipotizzata la possibilità di una procedura di mobilità, basata prioritariamente sul principio della non opposizione al licenziamento ed incentivata dall’azienda; anche in questo caso le rigidità della controparte non hanno consentito il raggiungimento di un risultato condiviso: la proposta presentata dall’azienda, in conclusione, è stata quella di concedere un incentivo all’esodo pari a 12 volte l’importo lordo della indennità di CIG che il lavoratore avrebbe teoricamente percepito in regime di ammortizzatori sociali. Filcams, Fisascat e UILTuCS hanno valutato irricevibile la proposta che non partisse dal parametro retributivo.
Pertanto, la procedura si è conclusa con il verbale di mancato accordo.
La UILTuCS ritiene che, laddove le relazioni sindacali non siano in condizione di garantire soluzioni efficaci ed adeguate alle crisi aziendali è, evidentemente, il quadro normativo che deve essere preso a riferimento per individuare i percorsi più idonei a garantire il minor impatto in termini sociali delle crisi: nel caso di Puma Italia, l’azienda ha ritenuto di dover procedere ignorando anche tutte le misure di sostegno e gli ammortizzatori sociali messi a disposizione dal quadro normativo vigente con un atteggiamento discutibile e contestabile.